05 Giu Il KAMUT non è un cereale! Qui tutta la verità.
Abbiamo letto che metà della produzione mondiale di Kamut® è consumato in Italia, e se corrisponde al vero la cosa ci lascia molto perplessi.
Il Kamut® non è il nome di un cereale è in realtà il nome commerciale associato al marchio, registrato negli anni ‘90: la specie di grano antico da cui deriva si chiama khorasan (nome scientifico Triticum turanicum) ed è originario del Medio Oriente.
Veniva coltivato in Egitto più di 6000 anni fa, ma era diffuso in tutta la zona della Mezzaluna Fertile e soprattutto nella sua regione di origine, l’omonima Khorasan. Mentre oggi questa regione si trova nell’Iran e ed è situata ai suoi confini nord-orientali.
Ma com’è arrivato dall’Iran al Montana e poi fino a noi?
La storia romanzata che ha aiutato a creare un certo fascino sul prodotto narra di un pilota americano che, durante la seconda guerra mondiale, rinvenne alcuni semi di questo grano in un’antica tomba egizia. Più verosimilmente, i semi furono acquistati da un mercante. Comunque, il pilota ne regalò una manciata ad un amico, il quale li spedì poi a suo padre, un agricoltore del Montana, che li seminò ed avviò una piccola, seppur soddisfacente produzione. Il “grano del faraone” fu così portato nelle fiere agricole come curiosità negli anni Sessanta, ma non raggiunse una grande fama. La diffusione nel mondo la si deve infatti all’amico di famiglia Bob Quinn, proveniente dallo stesso paese che rimase affascinato dalle potenzialità di questo grano: terminato il suo dottorato in patologia vegetale, iniziò quindi a coltivarlo tramite l’uso esclusivo di metodi biologici nella sua terra d’origine, il Montana. Nel 1989, Quinn riuscì a registrare il marchio protetto di “Kamut®” e, successivamente, fondò la Kamut International.
Da tempo i vegetali negli Stati Uniti si possono brevettare, il che conferisce al titolare una serie di diritti esclusivi per un periodo limitato, solitamente inferiore ai vent’anni. Il passo avanti è stato fatto «associando quel tipo di grano a un marchio registrato, che non scade mai, garantendosi a tutti gli effetti un monopolio perenne».
Le proprietà del khorasan
A livello nutritivo il grano khorasan è un ottimo prodotto: essendo un grano antico e pregiato, il suo valore nutrizionale complessivo è superiore a quello dei frumenti comuni.
Fa parte della specie “Triticum turgidum”, la stessa del grano duro e del farro dicocco, suoi stretti parenti, ma il suo nome scientifico è “Triticum turgidum ssp. turanicum”. La principale differenza tra le varie specie del genere “Triticum” sta nella composizione cromosomica: il khorasan (così come i grani delle altre sottospecie della specie T. turgidum) ha quattro coppie per ogni cromosoma, due in meno rispetto al grano tenero.
Nonostante la maggior semplicità genetica, il khorasan ha dei valori nutrizionali migliori rispetto ad altri frumenti: il suo valore proteico è più elevato, così come il contenuto di sali minerali e di antiossidanti, ad esempio il selenio, elemento essenziale per la buona crescita di questa pianta. In combinazione con questo elemento lavora la vitamina E, il cui ottimo dosaggio aiuta a contrastare i radicali liberi. Il khorasan è anche considerato un alimento altamente digeribile e ricco di fibre.
Aspetto che risulta particolarmente interessante da un punto di vista salutistico è la sua efficacia antinfiammatoria, sostenuta da diversi esperti.
I difetti e le limitazioni
Ma qual è quindi il rovescio della medaglia di questo grano all’apparenza privo di difetti?
Per cominciare, la lama a doppio taglio del marchio registrato porta con sé molte limitazioni: per quanto il khorasan sia un buon grano, per ottenere la denominazione “Kamut” è imprescindibile coltivarlo secondo un preciso procedimento biologico e soltanto in determinate regioni degli Stati Uniti d’America o del Canada, dove oggi si trovano le principali coltivazioni.
Quindi il problema più evidente è l’elevato costo non giustificato dal semplice fatto di essere biologico, per il mercato europeo questo aspetto costituisce una grossa limitazione, in quanto è impossibile ottenere farina di Kamut® a chilometro zero, quindi il Kamut® non possiamo definire un prodotto a basso impatto ambientale.
Un altro aspetto molto importante da considerare è la presenza di glutine: quando si iniziò a scoprire questo grano in Occidente, molti consumatori lo scambiarono erroneamente per un alimento adatto ai celiaci per via del suo basso indice di glutine. Questo fraintendimento è causato dalla confusione (ancora oggi molto diffusa) tra intolleranza e celiachia: se da un lato gli intolleranti possono assumere cibi contenenti tracce o scarse quantità di glutine a seconda della gravità dell’intolleranza, i celiaci non possono assumerlo in alcuna forma e quantità.
Terzo aspetto problematico, come emerso anche da un servizio di Report, è la presenza di tracce di Glifosato essendo un prodotto biologico non dovrebbe avere tracce di Glifosato, ma in America ci sono limiti diversi da quelli italiani, e in agricoltura c’è un utilizzo massiccio di Glifosato irrorato anche con aerei, quindi in realtà tutto l’ambiente è contaminato e anche i prodotti biologici rischiano di esserne contaminati.
Sono state trovate spesso partite di Kamut® con limiti superiori a quelli previsti in Italia in riferimento a prodotto biologico, ma comunque quantità che rientrano nei limiti di un prodotto convenzionale quindi la decisione di alcuni pastifici italiani è stata di modificare le etichette e togliere la parola biologico dalle confezioni.
Altri produttori invece hanno preso la decisione più drastica, ovvero sostituire Kamut® con alternative nazionali.
Esistono alternative migliori?
Valide alternative al Kamut®, è il grano Korasan anzi è la stessa cosa (tranne che non è registrato), come nome comune possiamo incontrare il grano Faraone, Saragolla, Perciasacchi che praticamente rappresentano delle varietà del Korasan “Triticum turgidum ssp. turanicum” e non sono registrati, ma anche il farro dicocco e monococco sono alternative valide e reperibili anche a km zero e in generale tutti i grani antichi possiedono caratteristiche interessanti dal punto di vista nutrizionale.
QUI il link al servizio di Report
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