06 Apr Storia dell’alimentazione
Le parole di Michel Montignac ci aiutano a capire due cambiamenti importanti che sono avvenuti nel XIX° secolo ed il loro impatto nella salute della popolazione del mondo occidentale:
Due fenomeni alimentari che sopraggiunsero nel XIX° secolo meritano di essere sottolineati dato il loro successivo impatto sulla salute dei nostri contemporanei.
Il primo è l’introduzione progressiva dello zucchero nell’alimentazione di tutta la popolazione. Lo zucchero non era un alimento nuovo, ma fintanto che era prodotto a partire dalla canna da zucchero era rimasto un ingrediente molto marginale per via del suo costo elevato. In Francia il consumo di zucchero l’anno pro capite all’inizio del XIX° era di 0,8 chili. Ma per via della scoperta del processo di estrazione dello zucchero dalla barbabietola nel 1812, il prezzo dello zucchero non smise di scendere e lo zucchero divenne un alimento di largo consumo (8 chili l’anno pro capite nel 1880, 17 kg nel 1900, 30 kg nel 1930 e quasi 40kg nel 1960).
Il secondo è la scoperta nel 1870 del mulino a cilindro che permise di mettere a disposizione della popolazione la vera farina bianca a un prezzo abbordabile per tutti.
Dagli Egizi, infatti, l’uomo ha sempre voluto raffinare (abburattare) la macinatura del grano per ottenere la farina bianca.
Ma la macinazione, in realtà, era realizzato in modo molto grossolano e la setacciatura era una semplice manuale passata al setaccio. Questa operazione aveva soprattutto lo scopo di liberarla da una parte della crusca, l’involucro esterno dei chicchi di grano.
Il pane bianco dei nostri antenati non era altro che ciò che oggi chiamiamo pane nero, ovvero il pane semi integrale.
Se si considera però che questa operazione di setacciatura della macinatura era lunga e onerosa, ciò spiega perché il pane bianco fosse un lusso che solo i privilegiati potevano permettersi.
L’avvento del mulino a cilindro alla fine del XIX° secolo e la sua generalizzazione all’inizio del XX° secolo ha dunque cambiato radicalmente la natura della farina, che risulta di gran lunga impoverita sul piano nutrizionale, poiché era costituita esclusivamente di amido. Le preziose proteine, le fibre, gli acidi grassi essenziali e le altre vitamine B erano per la maggior parte eliminate con l’operazione di raffinazione.
Il fatto che la farina fosse diventata improvvisamente un alimento impoverito sul piano nutrizionale non rappresentava un vero problema per la salute dei ricchi, poiché le classi privilegiate beneficiavano comunque di un’alimentazione varia ed equilibrata.
Ma per gli strati sociali svantaggiati, per i quali il pane era rimasto la base dell’alimentazione, il consumo di questo alimento sprovvisto del suo valore nutrizionale ha accentuato le carenze di un’alimentazione che era già piuttosto squilibrata.
Oltre alla povertà nutrizionale, lo zucchero e la farina bianca si contendono con la patata il triste privilegio di provocare effetti dannosi sul metabolismo (iperglicemia, iperinsulinismo) che come sappiano sono fattori di rischio maggiori dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari.
L’Era Contemporanea
L’era contemporanea comincia all’inizio del XIX° secolo e prosegue sino ai giorni nostri, ed è caratterizzata da un certo numero di eventi importanti che, a diversi livelli, avranno una notevole incidenza sull’evoluzione delle abitudini alimentari. Prima fra tutti la rivoluzione industriale che provoca l’esodo rurale e la formidabile espansione dell’urbanizzazione. Ma anche il trionfo dell’economia di mercato rispetto all’economia di sussistenza, così come il fenomenale sviluppo dei trasporti e del commercio internazionale.
L’industrializzazione dell’alimentazione è notevole. Le produzioni di derrate tradizionali (farine, oli, marmellate, burro, formaggio…) che un tempo erano realizzate artigianalmente sono ormai gestite all’interno di fabbriche di grandi dimensioni, se non grandissime. Ma la scoperta di procedimenti di conservazione (l’appertizzazione e in seguite il surgelamento) consentono di condizionare un gran numero di alimenti freschi sotto forma di conserve o di surgelati (frutta, verdura, carne, pesce…)
L’evoluzione dei costumi e della società è caratterizzata dal degrado della funzione della padrona di casa, e l’emancipazione femminile agevola lo sviluppo dell’industria del «pronto in tavola» (piatti pronti, ristorazione collettiva…).
Lo sviluppo dei trasporti e del commercio mondiale non solo consente di generalizzare il consumo di prodotti esotici (arance, pompelmi, banane, arachidi, cacao, caffè, tè..) ma anche di destagionalizzare la produzione di prodotti freschi (fragole e lamponi a Natale, mele e uva in primavera…)
Tuttavia il fenomeno più caratteristico di questo periodo si esprime soprattutto in questi ultimi cinquant’anni a un ritmo straordinario, si tratta della globalizzazione di abitudini alimentari destrutturate di tipo nord americano delle quali il fast food è esempio più evidente.
Grazie a Dio la maggior parte dei paesi continua a mantenere un certo attaccamento alle proprie abitudini alimentari tradizionali. Si tratta in particolare dei paesi latini nei quali la tradizione in questo settore resiste ancora. In questi paesi si assiste addirittura a una sorta di rinnovamento del culto delle tradizioni culinarie e gastronomiche.
Ma queste resistenze localizzate non saranno mai sufficienti a rallentare l’ineluttabile standardizzazione mondiale (globalizzazione) delle abitudini alimentari di tipo nordamericano che contaminano insidiosamente tutte le culture.
Sappiamo però che queste abitudini alimentari dannose, sviluppandosi, portano con sé, come accadde nel paese d’origine (gli Stati Uniti) uno straordinario aumento dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari, tre dei maggiori flagelli metabolici con i quali l’umanità si trova ora a doversi confrontare.
Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dal 1997 denuncia questa situazione con fermezza indicandola come una vera e propria pandemia.
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